Lo stile macabro e gotico tumboniano, ispirato da Edgard Allen Poe, al postmodernismo e al cinema horror, si distingue particolarmente dallo stile disneyano. Accordandosi alle fiabe dark spettrali e folkloristiche, il regista recupera il senso della fiaba medievale, con spiriti, villaggi, cimiteri, chiese, castelli, foreste e boschi, luoghi ignoti spaventosi ma allo stesso tempo avventurosi. La cupezza viene trattata con ironia, il tetro si unisce al comico, i mostri sono buoni.
Ne è un esempio “La Sposa Cadavere”, film d’animazione in stop motion del 2005 che narra la storia di Victor, timido ed impacciato giovane costretto dai genitori ad unirsi in un matrimonio d’interesse con la bella e sensibile Victoria. Entrambi si innamorano l’un l’altro, ma Victor mentre si esercita nel pronunciare i voti nuziali nel bosco, risveglia e sposa accidentalmente Emily, la sposa cadavere, dal passato tragico ed infelice, che lo porta con sé nell’Aldilà.
I temi su cui si dipana la storia sono l’amore sincero, la compassione, il sacrificio e l’insoddisfazione: amare non significa per forza solo stare insieme “finché morte non ci separi”, non è solo “un dare e un avere”, ma è invece creare una vera sintonia con l’altra persona, saperne comprendere passioni e desideri, condividerli e qualora non fosse possibile, non metterli in secondo piano rispetto ai propri.
Questa armonia che sboccia tra le persone viene ben rappresentata tramite la musica, uno degli ingredienti fondamentali del film: Elfman, il compositore di fiducia di Burton, crea una colonna sonora pervasa da un preciso senso di tristezza, come vediamo nel malinconico solo di Victor al pianoforte quando incontra Victoria per la prima volta e se ne innamora. Questa connessione però traspare molto di più del duetto musicale con Emily, dove sembra quasi che entrambi si stiano "parlando" attraverso il pianoforte. All'inizio Victor suona note "felici" più alte come se stesse cercando di attirare l'attenzione di Emily e le chiedesse di perdonarlo, ed Emily suona note più basse e tristi che mostrano come si sente. Poi si riuniscono per suonare il duetto, proprio come se si fossero finalmente "trovati".
Amare vuol dire voler vedere l’altra persona felice anche a discapito della propria di felicità; Emily comprende che nonostante ami Victor profondamente, egli non può essere suo perché non sarebbe mai completamente felice con lei e perché il suo cuore appartiene già a Victoria (non a caso i due nomi sono complementari). Penso che la relazione tra Victor ed Emily sia l’esatta incarnazione del “persona giusta ma momento sbagliato”.
È proprio questo contesto crudele ma realistico, unito alle tristi ed ingiuste origini di Emily, che la rende un personaggio incredibilmente tragico ed infelice, i cui sogni e speranze sono destinati sempre ad infrangersi, con tanto amore da dare ma nessuno mai in grado di accoglierlo, sempre la damigella d’onore e mai la sposa, costantemente alla ricerca di un qualcosa che continua a sfuggirle, anche nell’Aldilà. Perché si, un cuore può ancora rompersi una volta che ha smesso di battere. Eppure lei resta pur sempre una donna dolce e decisa, ancora capace di sentimenti sinceri e spontanei, compassionevole e comprensiva, piena di insicurezze e dunque una donna facile con cui immedesimarsi.
Sempre accostata alla figura della farfalla, Emily è innamorata dell’idea dell’amore e rappresenta la rinascita, la trasformazione, la speranza, il coraggio, la bellezza ma anche l'inconsistenza della felicità.
Oltre all’amore (spesso impossibile) vi è sempre un altro filo rosso che collega tutti i film di Burton: l’invito a vivere una vita all’insegna della bellezza e creatività e non in modo passivo temendo la morte. Burton esorcizza anche molto l’Aldilà, prendendo atto di ciò che la vita è, e che dunque la morte fa essa stessa parte della vita.
La morte, invece di far finta che non esista illudendosi di avere tempo illimitato, va accettata, e spiegata con naturalezza e semplicità. La morte è un concetto così intrinseco nella vita umana che spesso molti bambini intuitivamente capiscono già a grandi linee ciò che significa morire. Piuttosto che ignorarla e temerla ci si può giocare invece, idealizzarla e rappresentarla, e dunque rendere anche la vita un gioco. Pensare che la morte non esista, vuol dire anche non accettare la vita e dunque vivere una non vita, un’eterna fuga. Illusivo e visibile, conservatore di sogni e aspirazioni, il mondo dei morti continua a vivere come eredità per quello dei vivi, come un patrimonio culturale collettivo. La morte oltre che rendere possibile la vita, vuol dire anche rinascita e nuova vita.
Vediamo questa dicotomia anche nella rappresentazione stilistica dei due mondi: Victor vive in un mondo grigio smorto e meccanico, popolato da personaggi pallidi e malaticci, in una società rigidamente vittoriana, noiosa cupa e cimiteriale; il mondo dei morti invece è ironicamente quello con più vitalità, colorato, vivido, vibrante, pieno di festeggiamenti, musica e jazz e soprattutto contraddistinto dalla generosità, tutti si aiutano a vicenda, a differenza dell’egoismo, la meschinità e la malvagità del mondo dei vivi.
La morte da un senso ad ogni nostra azione, poiché ogni momento è unico ed irripetibile; non esiste una vita senza la morte e non esiste la morte senza la vita. Fino all’ultimo respiro possiamo amare, provare gioia e continuare a creare, godendoci fino al massimo questo meraviglioso dono che è la vita: questa è la grandezza dell’uomo.
Di Sara Boughanmi, Liceo L.A. Seneca, 5°A
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